1 maggio 1977: occupazione del Forte Prenestino

“Nel numero di Aprile del giornale "Centocelle" lanciammo, in accordo col Comitato  di quartiere, un 1° Maggio di lotta per l'occupazione e l'autogestione di Forte  Prenestino.“Cosa facciamo di Forte Prenestino?” diceva l'artico di fondo, e affidava all'assemblea dei partecipanti i contenuti dell'occupazione. L'occupazione avvenne alla fine di un corteo che era partito da p.za   dei Mirti, e aveva percorso le strade di Centocelle.Il Forte che ci si presentava davanti era allo stato brado, selvaggissimo. Dei primissimi giorni di occupazione mi ricordo un grande fuoco, abbiamo passato due giorni a bruciare tutto il materiale bellico   residuo, in una prima opera di bonifica della zona. In realtà dentro il Forte c'eravamo già stati da bambini, ci affascinava molto, si scavalcava e si veniva a giocare. Il Forte per   noi era stato quindi anche un luogo dell'immaginario, legato   all'infanzia di molti di noi. Dei primi giorni di occupazione mi ricordo solo le lunghe assemblee;  in realtà neanche noi sapevamo che cosa saremmo andati a fare, non  c'era una strategia ben definita...” Gianfranco Giobini

Intervista a Gianfranco Giombini,
militante degli anni 70 e occupante nel primo maggio '77 del centro sociale Forte Prenestino a Centocelle, Roma
.

Chi sei, che lavoro fai, chi eri tu all'epoca?

Gianfranco Giombini, 59 anni, educatore (operatore del privato sociale). Lavoro la mattina in un Centro diurno per disabili e il pomeriggio faccio il lavoro di strada rivolto agli adolescenti del V° Municipio, pischelli delle scuole medie di S. Basilio e adolescenti dei campi Rom di via Salviati e via della Martora, con i quali svolgiamo attività calcistica.

Nel '77   avevo 29 anni ero adulto, spupazzavo tutti in giro con la mia macchina,   avevo appena preso il lavoro alla nettezza urbana, dopo aver fatto lavori più o meno precari come il ragioniere, tipografo, lavavetri, supplente.

Ero un militante del Coordinamento anarchico Centocelle aderente alla Federazione anarchica Italiana. La mia casa a Piazza dei Gerani era un “porto di mare” dove approdavano molti compagni/e della zona per stare insieme, discutere, mangiare, dormire, amoreggiare.

Poi ho perso il lavoro perchè..vabbè poi successo tutto il casino...quello dopo.
Nel '77 ero in crisi rispetto alla mia scelta anarchica. Forse anche io stavo vivendo l'influenza di quel movimento che spazzava via i vecchi schemi e le vecchie organizzazioni.

Descrivimi il contesto socioculturale, urbanistico, cercando di tracciare i percorsi fisici e immaginifici del tuo vissuto, per quanto riguarda la Roma del 77, sia più in particolare del contesto in cui vivevi a Centocelle.

Centocelle è un quartiere esploso urbanisticamente soprattutto dopo la guerra, i cui abitanti provenivano da tutte le regioni d'Italia, era la cintura esterna a Roma, quella in cui si collocavano i flussi migratori, tutte quelle persone che dopo la guerra emigrarono a Roma. I miei genitori arrivavano dalla Romagna e dalle Marche.

Centocelle si forma quindi proprio da questa ondata migratoria degli anni 50, ma a differerenza di altri quartieri di Roma, non nasce propriamente come borgata; i quartieri del sottoproletariato di allora erano l'Alessandrino, il Quarticciolo, Borgata Gordiani. In realtà a Centocelle sin dall'inizio c'è un forte orgoglio proletario; questo non impedisce che in quegli anni nell'immaginario colletivo Centocelle venga sentita come un luogo "ai margini", socialmente disagiato, come dire oggi vengo da Tor Bella Monaca, o da Bastogi.

Un quartiere comunque in trasformazione, nel quale emerge questo scollamento tra la gente che veniva dalla campagna e la città, tra i padri e i figli, tra una cultura contadina e una cultura metropolitana. Io vivevo esculsivamente nel quartiere, quando raramente capitava di andare a P.za dei Mirti a prendere il tranvetto, si diceva appunto "andare a Roma".

Questo sfasamento generazionale creava quindi un humus ribellistico, l'immaginario era quello della comune, contro la famiglia.

Questo contesto sociale era molto comune a tutta la zona (detta) sud di Roma; la fascia che va dal Tuscolano al Tiburtino era una zona calda e non a caso i gruppi e le situazioni che c'erano a Centocelle si collegavano spesso con quest'area di Roma Sud.

Per quanto riguarda invece il contesto urbanistico, c'è da dire che Centocelle era già densamente costruita, ma mancava il cosiddetto verde attrezzato, gli spazi di aggregazione. Tuttavia c'erano ancora degli angoli rurali, ricordo la marana sulla Togliatti che divideva Centocelle dal Quarticciolo, era come una linea di frontiera dove si faceva a sassate con i ragazzini dell'altro quartiere. Quelli del Quarticciolo erano considerati "i peggio", anche se poi dall'esterno Centocelle aveva una pessima nomea.

"A Roma" si arrivava solo lungo la via Prenestina con il tram n° 12 (l'attuale percorso del 5 che parte da p.za dei Gerani e arriva   a Termini), e col trenino in partenza da P.za dei Mirti, seguendo per via Casilina.

 

 

 

Sempre nel '77 andammo ad occupare Casale Bocca Leone, con un gruppo di handicappati, dell'allora comuità di Capodarco, con un prete, due suore, e con i compagni anarchici, proprio un film!

C'era anche tutto un movimento in relazione ai gruppi di antipsichiatria ..nel 78 viene infatti approvata la legge Basaglia che sancisce la chiusura dei manicomi.

 

In quell'epoca il diverso era l'anarchico, responsabile della Strage di Piazza Fontana, anarchico era come dire oggi terrorista.

Quell'iniziale area anarchica che appunto raggruppava le diverse componenti, anche molto eterogenee, del dissenso a 100celle, a un certo punto si spaccò; si compì quindi questa separazione tra la parte diciamo anarchica tradizionale, e i cosiddetti comunisti libertari.

In zona si formarono quindi due tronconi. Da un lato i comunisti libertari che diedero vita al Comitato Proletario 100celle, e dall'altro gli anarchici con Coordinamento anarchico Centocelle, che diede vita al giornale Centocelle fondato nell'ottobre del 76 e distribuito in + di 1000 copie nella zona dell'attuale VII municipio, che a sua volta si aggregava attorno al Comitato di Quartiere. Di fatto però facevamo più o meno le stesse cose, ci occupavamo delle battaglie contro i decreti delegati

nelle scuole (per regolamentare l'assemblearismo),
la lotta per la casa e quindi l'equo canone

le lotte operaie nelle fabbriche

contro il lavoro nero , le autoriduzioni delle bollette ,

l'occupazione delle case

e delle scuole

la solidarietà ai collettivi dei lavoratori in lotta


e poi ancora lotte delle donne

degli omosessuali , i “mercatini rossi”, la battaglia per le “150” ore lavorative

che rivendicava la possibilità per lavoratori di avere il tempo per studiare.


C'era comunque un lavoro capillare di intervento nel sociale, ricordo ad esempio l' O.p.r.(Organizzazione Proletaria Romana), che diede vita a Radio Proletaria , l'attuale radio Città Aperta, che interveniva alle case di Marinelli, piuttosto che le iniziative del Laboratorio Comune Dioniso per il negozio di libero scambio al Tiburtino.

 

sedi ufficiali:

comitato proletario 100celle >> via Aceri (area comunista-libertaria)

C.a.c. Coordinamento Anarchico 100celle >> v. dei meli

comitato di quartiere >> v. dei lauri (anarchici, socialisti, comunisti, cattolici della parrocchia di s. Ireneo e abitanti del quartiere)

sede giornale 100celle >> v. dei gelsi

comitato comunista centocelle >> via dei pini

sede lotta continua >> v. delle viole (alessandrino)

Palestra all'Alessandrino

Pdup   >> v. delle celidonie

Organizzazione proletaria romana >> case popolari Marinelli

Psi di P.zza dei Gerani

 

luoghi di movimento:

scuole: S. Francesco d'assisi, Boaga, Botticelli

centro di formazione professionale >> (v. ceccano)

Comune Dioniso >> Collatino e Tiburtino

Teatro >> v. Guarcino

P.za dei Mirti

P.za dei Gerani

Che cosa non emerge di quegli anni?

Non emerge tutto l'humus di quegli anni, sembra che il 77' sia esploso così, quando   invece dietro c'era stato ben altro: tutte le piccole attività, tutti i piccoli gruppi di persone, comitati di quartiere, collettivi di lavoratori, gruppi di studenti, coordinamenti di donne, occupazioni di case, comitati per l'autoriduzione……e quell'ansia di praticare l'Utopia.

Soprattutto non emerge la sensazione che il futuro, il cambiamento, la rivoluzione personale e collettiva, dipendeva solo da noi, da me. Eravamo una parte di un tutto.

Tra il partito comunista e   i gruppi più militaristi, c'era di tutto in mezzo; la ricostruzione del 77 a Roma e a Centocelle è stata appiattita attorno a questi due estremi che non restituiscono affatto il clima di quegli anni.

Anche la cacciata di Lama all'università: presenti quel giorno c'erano giusto i militanti, gli studenti. Sì, è stato indubbiamente un fatto simbolico, ma nei quartieri c'era dell' altro, c'era di più.

Non emerge questo: l'instancabile lavorio nel territorio. Ci restituiscono solo l'immagine delle grandi organizzazioni dentro e fuori dal movimento.

Un'altra cosa che non emerge, è l'aspetto dadaista,
sperimentale,

irriverente,


dissacrante, ironico e autoironico e creativo, di rivoluzione dei linguaggi, una pratica comunque perseguita dalle... potremmo dire "avanguardie": gli studenti, gli indiani metropolitani , comunque persone di estrazione culturale un pò più elevata, non certo il sottoproletariato delle borgate.
"Sarà una risata che vi seppellirà"

Qual'è la retorica di quel periodo?

Per quanto riguarda i maschietti di quel periodo, forse la retorica risiedeva nel continuo rivendicare i rapporti liberati, la libertà sessuale in genere, con la differenza che gli uomini continuavano ad essere i maschietti di sempre, mentre per le donne il problema era ricrearsi un'identità che potesse liberarle da quel contesto, che appunto non era affatto liberato.

Per quanto riguarda la retorica del movimento, era sicuramente molto politica; Gruppi organizzati di fatto riperpetuavano la struttura militare, militante, per cui c'era molto l'esclusione dell'altro che non era in   linea con te , ad es. in quel periodo per chi militava, chi si faceva le canne non era ben visto, per cui a volte scattavano le esclusioni dal gruppo.

La droga viene vissuta come arma della borghesia per distruggere il movimento, della serie "Noi facciamo la rivoluzione e tu ti fumi le canne!".


E c'è anche una retorica della rivoluzione. Certo non riesco neanche ad essere così critico perchè io mi ci sono pasciuto per anni, ma noi ci credevamo davvero, per noi era dietro l'angolo.
Ad esempio io ho perso il lavoro alla nettezza urbana del comune di Roma. Nel periodo di caccia alle streghe sono stato costretto a prendermi un periodo di aspettativa per espatriare in Francia, dato che il mio nome compariva in un elenco stilato a caso dal pentito di turno. Talmente ero retorico che quando mi si è presentata l'occasione di rientrare a lavoro, per mia dignità, presunzione, orgoglio, non ho più inoltrato la richiesta. Eravamo molto ideologici, a volte anche oscurantisti...

E poi la retorica dell‘antifamiglia; dove la comune e i rapporti liberati erano l'ideale di convivenza alla base della nuova società da realizzare.

Quel periodo io stavo riflettendo sulla possibilità di approdare in una comune, la Comune Dioniso che si trovava sulla Collatina. Perchè l'immagine della famiglia e la cultura contadina che avevamo alle spalle,   male si sposava con le istanze liberate del linguaggio del corpo che si veniva affermando soprattutto per merito del femminismo.

Allora c’era una forte speranza nel futuro, nel cambiamento possibile, non solo nostro, dei militanti, ma diffuso nella società. La voglia di stare insieme, la fiducia nell’altro, era alla base di quel lavorio nei territori, cosa che oggi forse non c'è più.

Eravamo una sorta di “missionari” della rivoluzione, un po’ presuntuosi, ma “puri”.

Critici e curiosi allora con le canne, “vissute come trasgressione”, come “allargamento dei propri orizzonti”, come “mezzo di comunicazione”, intransigenti nella la lotta all’eroina che avrebbe mietuto molte vittime. Oggi l’area cosiddetta antagonista, alternativa, creativa giovanile, forse è troppo prigioniera della “cultura dello sballo”, dove la chimica fa da padrone.

C'era molto il concetto del "personale è politico"; vivevamo solo con le persone con cui condividevamo una dimensione politica e a cui richiedevamo una coerenza personale. Tante “famiglie politiche” in un unico alveo, quello della “Rivoluzione”. Oggi probabilmente c’è tanto personale e poco politico.

Poi ci pensarono i punk con il famoso “No future” a fare da leitmotiv alla seconda occupazione dell’86.

Raccontaci la prima occupazione del Forte nel '77

Il coordinamento anarchico Centocelle (C.A.C.) si diede come strumento di “intervento di massa” un giornale “dal quartiere per il quartiere: Centocelle” , con tanto di redazione aperta a via dei Gelsi 87. Contemporaneamente noi anarchici avevamo aderito al Comitato di Quartiere in cui c'erano spezzoni del partito comunista, socialisti, cattolici della parrocchia di S. Ireneo e noi anarchici.

Attorno al giornale Centocelle, diventato espressione più larga della voce dei territori, (mille copie vendute in tutte le edicole dell’odierno VII° Municipio Centocelle. Alessandrino, Quarticciolo, Tor tre Teste, La Rustica), si formò un gruppo redazionale che raggiunse le persone non politicizzate del territorio, come ad es. i ragazzi di v. dei ciclamini (DOC 5).

Nel numero di Aprile del giornale lanciammo, in accordo col Comitato di quartiere, un 1° Maggio di lotta per l’occupazione e l’autogestione di Forte Prenestino.

“Cosa facciamo di Forte Prenestino?” diceva l’artico di fondo, e affidava all’assemblea dei partecipanti i contenuti dell’occupazione.

L'occupazione avvenne alla fine di un corteo che era partito da p.za dei Mirti, e aveva percorso le strade di Centocelle. Il Forte che ci si presentava davanti era allo stato brado, selvaggissimo

Dei primissimi giorni di occupazione mi ricordo un grande fuoco, abbiamo passato due giorni a bruciare tutto il materiale bellico residuo, in una prima opera di bonifica della zona.

In realtà dentro il Forte c'eravamo già stati da bambini, ci affascinava molto, si scavalcava e si veniva a giocare. Il Forte per noi era stato quindi anche un luogo dell'immaginario, legato all'infanzia di molti di noi.

Quando abbiamo occupato ancora non sapevamo che di li a poco avrebbero ritrovato nei tunnel del Forte i resti del corpo di un bambino scomparso, fatto che in parte contribuì all'autosgombero.

Dei primi giorni di occupazione mi ricordo solo le lunghe assemblee; in realtà neanche noi sapevamo che cosa saremmo andati a fare, non c'era una strategia ben definita.

Per il movimento poi quei mesi furono caldissimi; il nostro gruppo, che era un pò l'anima più politicizzata, era completamente assorbito da quello che stava accadendo a Roma e nel paese. Siamo progressivamente usciti dal territorio, accelerando così la sconfitta del progetto di utilizzo “sociale” del Forte.

Il corteo contro la repressione che si tenne a Roma il 12 marzo nel '77, subito dopo l'uccisione di Francesco Lorusso a Bologna, fu l’antefatto di questa fuga dal territorio.

Noi eravamo andati addirittura con lo striscione del comitato di quartiere; mi ricordo tra di noi c'era gente che non era mai andata ad una manifestazione; successe di tutto, pistole, sparatorie, la polizia cominciò a lanciare candelotti in ogni direzione...un casino, lo striscione rimase a p.za Venezia per terra, le persone che avevamo aggregato fuggirono in ogni direzione, rimanemmo solo noi, i militanti.

Così con la militarizzazione dei servizi d’ordine, con la lotta armata, con l'estrema politicizzazione del movimento, ognuno ha perso il collegamento con i territori; gli altri (gli abitanti del quartiere), a loro volta si sono allontanati, si sono messi paura perchè li abbiamo lasciati soli, è stato un concatenarsi, un andare in discesa.

Da un lato quindi l'allontanamento dal territorio e l'inasprimento di quel clima di violenza e repressione, dall'altro il ritrovamento del corpo del bimbo, hanno messo fine all'esperienza dell'occupazione e portato all' autosgombero.

L'occupazione del forte sembra essere stata quindi una meteora, prodotto da quell'impeto, da quella necessità di riscossa, da una rivendicazione di spazi sociali che però non era programmatica. La particolarità è stata quella di essere gestita e coordinata dalle realtà del quartiere, fuori cioè dall'influenza dei partiti e delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare.

Un esperimento di occupazione possiamo dire Spontaneista, che però manterrà questa sua particolare declinazione anche nell'esperienza della successiva occupazione dell' 86.

Occupazione dell'86 e paragone con quella precedente

L’incubazione dell’occupazione del 1 Maggio del 77’ avviene soprattutto per il contributo del giornale Centocelle, mentre per quella del 1 Maggio dell’86 fu il giornale “Vuoto a perdere” che veicolò le istanze e i bisogni di questa nuova stagione.

La grande differenza tra le due consiste nel fatto che la prima nasce sull'onda di un grande fermento, ricordiamoci che prima del 77 c'era stato il '68 che si portava appresso tutto quel lavorio nei territori, quell'instancabile tessitura dal basso, tutto questo ha reso possibile episodi come l'occupazione del '77, un'occupazione che si rivolgeva essenzialmente al territorio.

Quella successiva dell' '86 si colloca invece in un periodo di grossa sconfitta del movimento e di necessaria rinascita; era caduta l’illusione della rivoluzione dietro l'angolo e avevamo un forte bisogno di ritrovarci. Molti stavano in galera, altri erano morti di eroina, sentivamo l'esigenza di riaggregarci, rifondare i nostri valori e metterci in cerca di una nuova identità.

Anche l'occupazione del 86 non è stata molto politica e programmatica, avevamo ancora bisogno di capire dove volevamo andare. Al suo interno non c'era un'area politica organica ed uniforme, ma i sopravvissuti di una aspra stagione politica, un gruppo molto eterogeneo che comprendeva dai comunisti agli anarchici fino ai punk e skin, uniti da un'aspirazione comunque libertaria.

Ricordo che era molto forte l' impegno sul fronte della comunicazione. Questo periodo è ben testimoniato dalle pagine del giornale "Vuoto a perdere", la cui redazione risiedeva appunto a Centocelle, in via delle Celidonie, e confluì, poco prima di sciogliersi, proprio nell'occupazione del Forte.

Di questo giornale, e a seguire dell'occupazione del Forte, facero parte tutti i sopravissuti all’ondata repressiva subita dal movimento a Centocelle e dintorni; e ci unimmo quindi attorno all'ipotesi di un giornale di comunic/azione.

Mi ricordo intervenivamo anche nei cortei attraverso varie azioni comunicative con dei manifesti a tema, molto provocatori e di impatto, ne ricordo uno in particolare sui cui campeggiava Raffaella Carrà succinta, in mise da soubrette, che inneggiava ironicamente alla guerra globale, e venne attacchinato in tutta la città. Oppure il famoso “Neri incazzati, incazzati neri” che riuscì a caratterizzare un corteo dell’ '85 tanto da meritarsi la prima pagina dell’”Espresso”.

Se la prima è stata quindi un'occupazione rivolta al territorio e alla ricomposizione del tessuto sociale, forse la seconda ha tralasciato il territorio, o comunque l' ha messo in secondo piano rispetto alla ricerca di un'identità propria.

Intervista audio a Gianni De Domenico,
teatrante e attivista degli anni '70

"Il teatro di Centocelle nasce nel 72 in seguito all'occupazione delle case di v. carpineto. Con un gruppo di amici e con l'aiuto dell'Arci (che non è certo l'Arci di oggi...), decidemmo di allestire il nostro spazio scenico all'interno di un garage, di nuova occupazione, .
L'idea era quella di mettere in piedi qualcosa nel quartiere, qualcosa che facesse uscire fuori Centocelle dalla monotonia del "Corriere dello sport" della domenica..."
Gianni De domenico

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